giovedì 5 dicembre 2013

Gal Gadot sarà Wonder Woman nel sequel di "Man of Steel" (L'Uomo d'Acciaio)

Sarà l'attrice israeliana Gal Gadot (Gisele Harabo in Fast and Furious 4,5 e 6) ad interpretare il ruolo di Wonder Woman nel sequel di Man of Steel.
Si compone così, pertanto, la Trinità DC Comics nel secondo capitolo del film diretto da Zack Snyder, che afferma:
«Wonder Woman è senza dubbio uno dei più potenti personaggi femminili di tutti i tempi e uno dei più amati dai fan nel DC Universe. Gal non solo è un'attrice straordinaria, ma possiede anche quel qualcosa di magico che la rende perfetta per il ruolo. Non vediamo l'ora che il pubblico scopra Gal nella prima incarnazione cinematografica di questo amato personaggio.»
Man of Steel 2 (ma sarà questo il titolo definitivo?) uscirà il 17 luglio 2015 negli Stati Uniti. La trama del film è ancora coperta dal segreto, non c'è alcun annuncio ufficiale, ma il produttore Warner Bros. Daniel Alter ha twittato di un semi-pensionato Bruce Wayne che, dalla bat-caverna, controlla dei robot per combattere la criminalità in città (il che ricorda tanto lo stupendo "Kingdom Come" di Mark Waid e Alex Ross). Henry Cavill riprenderà il suo ruolo di Superman, mentre Ben Affleck, come ormai noto, interpreterà il Cavaliere Oscuro. Inoltre, è attesa l'apparizione nel film di altri membri della Justice League come Dick Grayson (Nightwing) e Flash, così come anche Lex Luthor.

venerdì 23 agosto 2013

Ben Affleck sarà Batman nel sequel di Man of Steel

Pare sia ufficiale: Ben Affleck reciterà il ruolo di Batman nel sequel di Man of Steel, "Batman vs Superman". Con tutte le cautele del caso, per carità, ma stavolta la notizia pare avere tutti i crismi dell'ufficialità.
A dirlo è Greg Silverman, President, Creative Development and Worldwide Production di Warner Bros.:
"Sapevamo di aver bisogno di un attore straordinario per interpretare uno dei più longevi e popolari Supereroi DC Comics, e Ben Affleck calza sicuramente a pennello. La sua straordinaria carriera testimonia il suo talento e sappiamo che lui e Zack porteranno una nuova dimensione alla dualità di questo personaggio ".

Entusiasta della scelta il regista Zack Snyder che afferma:
"Ben costituisce un interessante contrappeso al Superman di Henry (Cavill). Ha le capacità di recitazione per creare una rappresentazione stratificata di un uomo che è più anziano e più saggio di Clark Kent e porta le cicatrici di esperto combattente del crimine, ma conserva il fascino che il mondo vede nel miliardario Bruce Wayne. Non vedo l'ora di lavorare con lui."

Non una scelta entusiasmante, ritengo, ma forse neanche la peggiore tra quelle di cui si è rumoreggiato nell'ultimo mese.

source: http://latino-review.com/2013/08/ben-affleck-is-the-batman/

martedì 20 agosto 2013

Capitan Atom (di J.T. Krul, Freddie E. Williams II)

Così come Aquaman, anche Capitan Atom è stato ospitato all'interno del mensile Flash, edizioni RW-Lion. Se Aquaman è probabilmente la migliore testata del New 52, Capitan Atom è certamente, per stile e contenuti, tra le più originali. Certo, la scrittura non è esente da difetti e ci sono dei punti deboli, dei passaggi un po' delicati che non convincono del tutto. Ma notevole il coraggio di J. T. Krul che riscrive profondamente il personaggio, riprendendo il Dr. Manhattan di Alan Moore e non avendo paura di metterla definitivamente in filosofia.
Il suo Capitan Atom si muove infatti su sentieri che conducono a riflessioni esistenziali, assolute, sull'uomo, sul mondo, sull'universo, su cosa vi sia oltre l'universo, sul tempo e, inevitabilmente su Dio. E ancora, sulla soggettività e sul filtro dei sensi e delle categorie intellettuali nella lettura e nell'interpretazione della realtà.
Una pretesa in effetti non da poco, un'escursione su un terreno complicato, una sfida impegnativa già a partire dal termine di paragone, Manhattan, cui il riferimento è evidente. A prescindere dalla portata del risultato finale, ben venga. Finalmente un prodotto che abbina la componente leggera, di divertissement, con una componente più intellettualmente stimolante. O, almeno, ci prova.
Per rendere graficamente un prodotto di questo tipo è azzeccata la scelta di Freddie E. Williams II: le sue tavole sono particolari, i disegni sono forse non molto "solidi", piuttosto eterei, dai tratti e dai contorni molto sfumati, per nulla rigidi e non molto definiti, ma necessari e coerenti con il tono della storia il cui protagonista è un personaggio, appunto, dai contorni esistenziali sfumati e incerti.
Come già predetto [qui], è stata sviluppata, tra le altre cose, la dualità tra Capitan Atom, smaterializzato, decorporalizzato, a rischio di disumanizzazione, un uomo prigioniero all'interno di un'entità trascendentale, e il dr. Megala, una mente eccelsa, assetata di conoscenza e desiderosa di valicare i confini e i limiti della condizione umana, ma prigioniera all'interno di un corpo drammaticamente impedito persino nelle funzioni più semplici ed essenziali.
Una condizione speculare, simmetrica, tra i due e che, a un certo punto, si invertirà temporaneamente: in quell'occasione Megala avrà modo di constatare, portando alle estreme conseguenze la sua stessa visione delle cose, quanto poco di umano e di umanamente accettabile possa esserci nell'essenza stessa dell'esistente.
Il Capitan Atom di Krul è, dicevo, un po' dr. Manhattan, una sua incarnazione che ne ha irreversibilmente influenzato tutte le rappresentazioni future, ma è anche Nathaniel Adam: la componente umana di Capitan Atom è fondamentale; se in Manhattan questa componente via via scompare, in Capitan Atom essa è essenziale, e coesiste con quella che trascende l'umanità, la fisicità, l'intelletto stesso. Non appena Capitan Atom perde contatto con la sua parte umana, diviene un'entità fredda, assoluta, priva dei filtri della ragione e della morale.
Di sicuro non è una lettura facile, semplice o immediata. È lontana anni luce dal classico "arriva il supereroe e prende a cazzotti i cattivi". In soccorso arriva, ottima e molto utile per orientarsi e riassumere una run fatta di salti e viaggi nel tempo, la "cronologia completa" nel redazionale di Riccardo Galardini su Flash n. 9.
La serie si è conclusa su Flash n. 14 con il numero zero, che narra le origini di Capitan Atom, anche se la run si era conclusa due numeri prima, su Flash n. 12, con Capitan Atom #12: "La fine è l'inizio". Nell'ultima tavola, un Capitan Atom letteralmente "fuori dal mondo", osserva la Terra dalla superficie lunare e, a corollario della sua profonda riscrittura, dice "Non sono un uomo, non sono uno di loro. Non più".
Il futuro ci dirà se questa interpretazione del personaggio sarà quella definitiva e quali saranno le sue possibili evoluzioni.

mercoledì 14 agosto 2013

AQUAMAN: Gli Altri (The Others) (di Geoff Johns, Ivan Reis)

Benvenuti nel meraviglioso mondo di Geoff Johns.
Dopo La Fossa, Gli Altri costituisce il secondo step del "salto triplo" con cui Geoff Johns e Ivan Reis ci conducono verso Trono di Atlantide, il grande cross-over tra Aquaman e Justice League.
Come già detto a proposito de La Fossa (The Trench), a mio avviso siamo di fronte alla migliore tra le testate del New 52 DC Comics.
I detrattori di Aquaman che, evidentemente, non hanno mai letto davvero un suo fumetto, ormai saranno estinti o, se ancora riescono a fiatare, farebbero meglio a documentarsi prima di sprecare ossigeno.
Ne Gli Altri il livello qualitativo, la complessità della trama, l'intensità e la profondità della narrazione, e persino i disegni già sublimi di Ivan Reis, fanno un ulteriore passo in avanti rispetto a La Fossa: diventano forse più cupi per necessità narrative, ma il disegnatore brasiliano dà  qui forma a tutto il suo straordinario potenziale.
Stando a questo trend, anche con l'avvento alle matite del bravo Paul PelletierTrono di Atlantide potrebbe essere davvero spettacolare e indimenticabile.

Un Aquaman assolutamente in tre dimensioni, profondo, drammaticamente umano anzi, più che umano. Il personaggio meglio caratterizzato, in assoluto, del reboot DC. Accanto a lui fiorisce la stupenda Mera, altro personaggio carico di fascino e che promette ancora tanto per il futuro. Ottimo anche Black Manta, una nemesi drammaticamente simmetrica rispetto ad Aquaman, con cui vive una lacerante, dolorosa inimicizia. E poi gli Altri, un gruppo di eroi nuovi e già ben caratterizzati, un'altra trovata azzeccata di Geoff Johns e che, personalmente, spero venga riproposta in futuro.
Divertimento, pathos, commozione, azione. L'esemplare migliore del parco New 52. Non c'è altro da aggiungere.
Se amate Aquaman e vi siete persi queste storie pubblicate (in condominio col velocista scarlatto e Capitan Atom) su Flash (Edizioni RW-Lion) dal n.1 al n. 13, vi consiglio di recuperarle, oppure di non farvi scappare eventuali pubblicazioni-raccolta in cartonato.
Aquaman #0, pubblicato su Flash n.14 di giugno, e Aquaman #14 su Flash n.16 di agosto, completano il quadro con tutte le informazioni necessarie per tuffarci senza indugio su Trono di Atlantide che, a settembre, approderà sullo spillato Justice League.
In estate, tra un tuffo e un bacio, quale migliore lettura di Aquaman? ;)

lunedì 12 agosto 2013

"THE NIGHTLY NEWS" di Jonathan Hickman

New York. Capitale mondiale dell'informazione. Qualcuno ha deciso che i giornalisti o, almeno, alcuni di essi, vanno eliminati. E nel modo più plateale possibile. Chi si nasconde dietro queste azioni terroristiche? Quali sono le sue motivazioni?
The Nightly News‬, opera del 2006 di Jonathan Hickman per Image Comics, ci parla di comunicazione di massa e di manipolazione, nel senso psico-patologico del termine.
Non si tratta di una lettura facile e immediata. E io non sono un ammiratore delle letture complicate e cervellotiche. In questo caso, tuttavia, vanno riconosciute la particolarità e l'originalità dell'opera di Hickman.
Un'opera/documentario in cui, parallelamente a una storia molto meno complicata di quanto la disposizione dei flashback tende a far percepire, l'autore sciorina tutta una serie di dati, di tabelle, di statistiche e citazioni, al fine di dimostrare la scarsa affidabilità anzi, la pericolosità del sistema scolastico e dei mass-media americani.
Tutte le fonti bibliografiche sono citate sia nel fumetto che nelle ampie note a margine.
L'impatto iniziale mi ha fatto pensare a V for Vendetta, opera cui, secondo me, The Nightly News è in parte debitrice per una certa idea di fondo, a tratti per ambientazioni e atmosfere distopiche e per alcune trovate come "la Voce", "la Mano", chiari omaggi al capolavoro di Alan Moore.
È una storia che non parla di "gente" ma di "persone", di individui. La gente in quanto collettività non è mai presente, se non come elemento totalmente passivo, al punto da essere irrilevante.
Un'opera il cui punto di forza non è probabilmente la trama in sé: molto semplice ed essenziale ma disposta nel modo forse più complicato possibile, al punto da renderla eccessivamente arzigogolata, con salti temporali continui. Popolata da personaggi non ben caratterizzati ma ugualmente figure drammatiche, protagonisti che si avvicendano come ombre sulla scena, potrebbe risultare, al primo approccio, poco digeribile.
Ai punti deboli sopperisce la "promessa" di un'idea superiore, di un fine e di un finale chiarificatore che rimangono sempre il vero motore trainante della storia, la vera spinta per il lettore a proseguire per vedere "come va a finire" e per dipanare la matassa aggrovigliata che gli è stata messa in mano.

Informazione e manipolazione; riscatto e vendetta. Hickman semina dubbi, gioca un po' a nascondino, ora sembra schierarsi con l'una, ora con l'altra, tra le parti in causa.
Cercando di mantenere una posizione super-partes, egli cerca di attrarre nella propria costruzione il lettore, prova a spingerlo a schierarsi con l'uno o l'altro dei protagonisti. Ma l'imparzialità cede il passo alla chiara urgenza di manifestare le proprie idee e la propria posizione riguardo l'informazione, l'indottrinamento delle masse, la religione, l'istruzione, il sistema sociale occidentale e americano in particolare.
Se da una parte condanna per poca incisività coloro che "protestano", dall'altra condanna anche chi arriva a fare ricorso alla violenza per sovvertire il sistema.
Non dà risposte quindi Hickman ma, al contrario, suscita domande e instilla dubbi.
E implicitamente rivendica, in un certo qual modo, il primato e la libertà dello scrittore sul giornalista, quando quest'ultimo si fa strumento e portavoce del potere.
Con Nightly News Hickman stimola il lettore a riflettere su quanto labile sia il confine tra libertà e inganno, tra verità e illusione; su come i mass-media e la politica, che dovrebbero vigilare e garantire democrazia e libertà, siano essi stessi vulnerabili e in balìa degli interessi o addirittura dei capricci del violento o del potente di turno.
Un'opera in cui il pungolo intellettuale compensa pertanto ampiamente eventuali debolezze o pesantezze narrative e di sceneggiatura e i dati statistici di cui è corredata vogliono stimolare l'approfondimento.
I disegni sono particolarissimi, ricchi di simbolismi, quasi sempre fuori dallo schema delle vignette, mono o bi-cromatici (le parti ambientate nel presente hanno l'arancio come colore dominante, i flash-back e flash-forward il blu), dalla resa piuttosto bidimensionale ma quasi lisergica. I volti dei personaggi solo raramente lasciano intravedere gli occhi, che sono quasi sempre adombrati.

In conclusione, una lettura consigliata a chi è pronto ad affrontare tematiche complesse ed estremamente attuali nell'era della comunicazione, attualissime nel nostro Paese. Lettura non leggera, adatta a un pubblico maturo, potrebbe piacere anche agli amanti del complottismo.

"The Nightly News" di Jonathan Hickman (Image Comics, 2006-2007) - Ed. italiana Panini Comics Collezione 100%, brossura, 184 pgg, € 16

martedì 6 agosto 2013

Zagor 628: Il ponte sull'abisso

Numero interlocutorio questo Zagor 628, con una storia che si chiude e un'altra che inizia. Zagor è sempre sulle tracce di Dexter Green e, conclusa in maniera spettacolare la stupenda avventura nel Mato Grosso, si appresta ora nientemeno che a valicare le Ande per dirigersi dall'Argentina verso il Cile.
Soggetto e sceneggiatura de' Il ponte sull'abisso sono a firma di Moreno Burattini, mentre le matite sono di Gianni Sedioli. La storia inizia bene, si distingue per grazia stilistica, sensibilità e delicatezza di esposizione. C'è chiaramente notevole impegno e attenzione nella stesura di un racconto che nel migliore, perfetto, stile zagoriano, miscela verità storica e fantasia, scienza e immaginazione. Guest star nientemeno che il grande, geniale scienziato e naturalista Charles Darwin. La cornice è quella suggestiva e incantevole delle Ande, altissime vette e spettacolari vulcani. Puntuale, qualcosa di magnificamente strano sta per succedere, coinvolgendo Zagor (e il fido Cico), c'è da giurarci, in primissima persona.
Un'osservazione: il leggendario urlo di Zagor andrebbe forse usato con maggiore parsimonia, e in quelle situazioni al culmine della tensione narrativa (come, per esempio, nel numero 627 quando Zagor ha fatto ingresso nell'arena con i dinosauri...). Il rischio, altrimenti, è di inflazionarlo e svalutarlo, disinnescando il suo grande potenziale emozionale.
Per il resto, non c'è che da leggere avidamente, godersi il lavoro eccellente di questi autori in stato di grazia e attendere settembre per il n. 629. Ci sarà da divertirsi.

Zagor 626 e Zagor 627

Che numeri questi Zagor 626 e 627 di giugno e luglio (Mauro Boselli, Michele Rubini; cover di Gallieno Ferri).
Zagor ancora in trasferta sudamericana, nel Mato Grosso, in Brasile. Azione, fantasia, scenari a dir poco suggestivi, senso dello spettacolo, tempi perfetti, ottimi ritmi, davvero una lettura che mi ha lasciato molto soddisfatto. E, al centro, specialmente nel n. 627, uno Zagor spettacolare, eroe più che mai. All'apice della storia, un'entrata in scena da pelle d'oca.
Complimenti all'autore, Mauro Boselli e all'ottimo disegnatore, Michele Rubini.
Ragazzi, i bei fumetti li abbiamo in Italia, non c'è che dire. Altro che crisi e flessione del fumetto Bonelli; a me Zagor sembra qualitativamente in ascesa e in ottima salute. Personalmente, chapeau a questi autori, davvero.

venerdì 2 agosto 2013

Wolverine - L'immortale (The Wolverine)

Dopo Man of Steel ecco un altro film sui supereroi "interrotto", se pur in misura meno accentuata, anch'esso formato da due anime: una intensa, profonda e coinvolgente; l'altra fracassona e piuttosto deludente.
Se Man of Steel ha sbagliato per eccesso, The Wolverine pecca per difetto. Anche l'azione diviene, via via, a tratti scialba o persino grottesca, tutt'altro che elettrizzante. La scrittura presenta inoltre diversi punti deboli, con molte questioni affrontate male e in maniera superficiale. Un film molto fumettistico, in definitiva, ma non nella maniera migliore. Perché se il termine "fumettistico" si coniuga bene con "divertente" o "spassoso", non deve necessariamente coniugarsi con "ingenuo" o, men che meno, con "superficiale".
D'altra parte, del ciclo giapponese di Frank Miller e Chris Claremont, di quelle suggestioni orientali così affascinanti, c'è solo un pallido riflesso. Le premesse interessantissime  vengono disattese nello svolgersi della pellicola che, a tratti, risulta persino lenta e noiosa.
A reggere e mantenere il tutto a livelli accettabili, un grande Hugh Jackman, che è ormai Wolverine così come Robert Downey Jr. è Iron Man.
Consiglio: non aver fretta di abbandonare la sala dopo i credits.


Wolverine - L'immortale (The Wolverine) di James Mangold. Con Hugh Jackman, Haruhiko Yamanouchi,  Svetlana Khodchenkova, Rila Fukushima, Hiroyuki Sanada, Tao Okamoto. - 107 minuti - USA, 2013 - 20th Century Fox

lunedì 22 luglio 2013

MAN OF STEEL - L'UOMO D'ACCIAIO (2013)


Voglio fare una premessa e sgombrare il campo da qualsiasi tipo di equivoco o malinteso: nonostante lo consideri tutt'altro che esente da pecche a me il film è piaciuto e consiglio a tutti di vederlo.
E' un film che definirei "duplice" in molti sensi. Una chiave interpretativa del mito di Superman è senza dubbio quella messianico-cristologica: c'è il salvatore; c'è il padre "mandante"; c'è il padre putativo custode e protettore del figlio anche a costo della vita; e c'è la missione salvifica nei confronti di un'umanità che non sempre lo meriterebbe.
L'altra chiave di lettura è più "terrena", di natura politico-antropologica. Una critica all'umanità e al suo rapporto col pianeta, incentrato, finora, sullo sfruttamento delle risorse, su aggressione, sfruttamento e sottomissione dell'ambiente e degli altri popoli. Superman salvatore degli uomini da minacce aliene e, a livello più concettuale, salvatore dell'umanità da se stessa. Quindi una sostanziale bocciatura e sfiducia nei confronti del genere umano, la cui incolumità deve essere garantita da un essere proveniente da un altro pianeta. Ma che, in qualche modo, rimane conquistato, forse anche "contagiato" dall'umanità stessa, sicuramente innamorato di quanto di buono vi è in essa e, lungi dall'ergersi ad essere superiore e dispotico, si umanizza, uomo tra gli uomini, riconoscendo e attribuendo piena dignità e totale riscatto alla vita umana e terrestre in generale, di cui diviene pertanto ottimistica e positiva metafora.
Con queste premesse, tentando di mettere in scena, sintetizzandole in unica formula, queste due chiavi interpretative del mito di Superman, è chiaro come regista e autore (Zack Snyder e David S. Goyer) abbiano voluto metterla sul pesante.
Che Zack Snyder non sia un regista da "fioretto", ma piuttosto da "spadone" lo sapevamo già. E Man of Steel lo ha in parte confermato ricorrendo metaforicamente, più che a spade e spadoni, direttamente alla clava. E ha pure confermato come David Goyer sia uno scrittore che a volte può risultare un po' indigesto.
Tuttavia la prima parte del film mi ha fatto pensare "stavolta è diverso". Un film profondo, pieno, completo, mentale e tangibile allo stesso tempo.
Le origini, la crescita, le ragioni di Superman messe lì, finalmente disponibili in carne e ossa, e con le fattezze di Henry Cavill. La sua superiorità, quasi divina (a tratti è parso di vedere il Superman di Kingdom Come), e la semplicità, l'umiltà di un dio che si fa uomo tra gli uomini, che li ama, li osserva, li ammira per le loro qualità e li compatisce per le loro bassezze.


Un Superman ancora alle prime armi e non completamente consapevole dei propri poteri, quindi più debole, vulnerabile, non ancora capace di proteggere e salvare tutto e tutti.
È, fin dall'inizio, un film dalle poche parole, che si fa capire benissimo per gesti e simboli. I dialoghi sono efficaci, essenziali e misuratissimi. L'impatto visivo potentissimo.
Superba la colonna sonora di Hans Zimmer; ottimo il doppiaggio italiano.
Un cast di ottimo livello mette in scena, per un'ora, il più grande, bello, maestoso e completo film sui supereroi mai visto. Un po' così-così Lois Lane/Amy Adams che, per tutto il tempo, dà la sensazione di non essere strettamente necessaria alla storia. Ma prova maiuscola di Michael Shannon nei panni di Zod e di Russel Crowe, sopra tutti gli altri, nel ruolo di Jor-El, autentico motore di tutta la storia. Sono loro due, Jor-El in particolare, i veri personaggi, quelli meglio riusciti e meglio caratterizzati. Anche più di Superman che, alla fine, non per colpa dell'onesto Henry Cavill, risulta non completamente sviluppato dal punto di vista della descrizione e della crescita psicologica.

Di padre in padre.
Il rapporto padre-figlio è uno dei leit-motiv di questa pellicola. 

Da una parte una singolare incarnazione di pa' Kent, interpretato da un vecchio "lupo" della scena come Kevin Costner cui però stavolta i canidi non hanno portato bene. Qui Johathan Kent è un uomo semplice della provincia americana, quella un po' chiusa e bigotta, non certo un intellettuale. Un padre che vorrebbe per il figlio una vita normale e ha paura che invece sia visto come un "mostro", un diverso, che venga emarginato o persino considerato una minaccia da eliminare. È evidente come non riesca a comprendere appieno (e come potrebbe?) il potenziale del figlio e come anzi lo tema: pur di nascondere la vera natura di Clark, per proteggere il suo figlio "diverso", è disposto a sacrificare la propria vita. Personalmente non è la versione di pa' Kent che preferisco.


Al rapporto difficile tra Kal-El e il padre terrestre, un rapporto all'insegna della "protezione", della paura, quasi di rifiuto della condizione di super-umano, di diffidenza nei confronti del mondo e di attesa del "momento giusto", fa da contraltare il rapporto con il padre kryptoniano, fondato sulla fiducia, che incoraggia e sprona Superman ad accettare la propria condizione e a intervenire "qui e ora" per la salvezza della Terra. Suggestiva e già memorabile la frase «Puoi salvarli tutti» con cui Jor-El investe definitivamente il figlio di quel ruolo messianico che lo caratterizzerà da lì in avanti.
E se Superman, inizialmente non compreso e osteggiato, pronto a sacrificarsi per la salvezza dell'umanità, assume connotati cristologici, lo scontro finale con Zod rappresenterà una vera e propria Apocalisse.

Cambio di marcia.
E torniamo alla questione della natura duplice di questa pellicola. A un certo punto, sembra quasi che la scrittura passi di mano e, da un viaggio lungo la storia di un uomo-dio, diventa il racconto di uno scontro tra titani. Tutti i discorsi aperti nella prima parte vengono quasi congelati.
Dall'incontro di Superman con Jor-El alle prime dinamiche con Zod, tutto comincia a scorrere troppo velocemente, i cazzotti frenano la crescita del personaggio agli occhi dello spettatore e la sua maturazione psicologica nel contesto della storia.
Inoltre, alcuni passaggi di scrittura risultano poco chiari, altri appaiono superflui.
Un film diviso nettamente in due parti, e questo, inevitabilmente, finisce per dividere anche il pubblico: tra chi ama la super-azione e chi no. Tra chi riesce a leggere il film nonostante i super-effetti, e chi invece ne rimane frastornato. Tra chi si ferma di fronte alle prime debolezze della sceneggiatura e chi riesce a "digerirle" e valutare l'opera nel suo complesso.
Di certo, la ridondanza degli effetti e dell'azione traboccante nella seconda parte del film, rischia di farne dimenticare la componente "ideologica": conquistare un pianeta, soggiogarlo al proprio imperativo, a ciò che è "bene" per la propria razza, schiacciare o cancellare le altre creature che lo abitano, non è forse ciò che l'uomo ha fatto con la Terra? E quello che alcuni popoli hanno fatto e continuano a fare nei confronti di altri? E allora, Zod cos'altro rappresenta, se non quel cinico e antropocentrico "complesso di superiorità" che alberga nell'animo umano?
E Superman, cosa rappresenta se non, al contrario, la coscienza, la parte più consapevole, sana, nobile, positiva della natura degli uomini?
Ecco che il loro scontro diviene l'antitesi tra due forze ancestrali, due spinte insite da sempre nel cuore dell'umanità e da sempre in contrapposizione. Allo stesso modo di quelli che i greci chiamavano dei, Ka-El e Zod rappresentano due forze immanenti all'animo umano e che in esso si agitano con effetti a volte devastanti.
La debolezza del film, allora, risiede nella formula adottata per rappresentare questo dramma: il significante ha diluito e disperso il significato. Lo spettatore stordito e letteralmente sovraccaricato di massicce dosi di frastuono e devastazione, rischia di non avere più il tempo di ragionare, di assimilare, di percepire emozioni, segni, o tantomeno dialoghi. E questa, secondo me, è una pecca. Né, tantomeno, possono servire a moderare questo dominio di super-azione alcuni passaggi che sembrano innestati artificiosamente (per esempio il bacio con Lois).
Ne risulta un Superman sì tutto d'un pezzo, però non sviluppato in tutte le sue potenzialità e che non buca definitivamente lo schermo per arrivare al cuore di tutti gli spettatori. Nel finale, Cavill sembra omaggiare, con un sorriso davvero somigliante, il leggendario Christopher Reeve. Ma, davvero, non basta a conferire al personaggio spessore e profondità.

Conclusioni.
Non so quale sarà l'effettiva portata e importanza storica di questo Superman. E' una cosa da valutare in prospettiva. Non so se questo sarà davvero, come sembra e come garantisce la prima parte del film, il più grande Superman cinematografico visto fino a oggi, oppure se sarà considerato una sorta di incompiuta, di capolavoro a metà: un'occasione persa.
Di sicuro, la prima parte del film ha mostrato l'enorme potenziale di cui è capace un personaggio alla soglia dei 75 anni di età e che è ormai, più che un'icona, un archetipo, patrimonio dell'immaginario collettivo.
La seconda parte della pellicola, d'altra parte, è il più massiccio action supereroistico mai visto quando chiude il libro della poesia e passa alla clava: le battaglie con Zod non hanno pari nella letteratura cinematografica di questo genere, per imponenza, maestosità e per effetti visivi e sonori.
Probabilmente, così come lasciavano presagire (e sperare) alcuni punti irrisolti della trama, ci sarà un seguito (una trilogia?) con Batman co-protagonista e quindi, finalmente, potrà forse nascere il tanto atteso progetto Justice League di cui tanto si parla, ma che, ad oggi, è ancora lontano dal prendere forma.

MAN OF STEEL di Zack Snyder. Con Henry Cavill, Russel Crowe, Ayelet Zurer, Amy Adams, Michael Shannon, Kevin Costner, Diane Lane -143 min. - USA, Canada, Gran Bretagna 2013. - Warner Bros Pictures

venerdì 19 luglio 2013

UN FATTO UMANO - STORIA DEL POOL ANTIMAFIA



UN FATTO UMANO Storia del Pool Antimafia - di Manfredi Giffone, Fabrizio Longo, Alessandro Parodi - Einaudi Editore - 2001 - 376 pgg, brossura. 24 €


«La mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine»

Queste le parole di Giovanni Falcone che danno il titolo al Graphic Novel scritto da Manfredi Giffone, disegnato da Fabrizio Longo e Alessandro Parodi. A leggere le loro bio, si apprende che, all'epoca dei fatti narrati, erano ancora bambini o adolescenti. Ma hanno realizzato un'opera stupenda che ricostruisce la storia d'Italia dagli anni '70 ai primi anni '90. Un'opera che non esito minimamente a definire "opera d'arte assoluta" per forma, realizzazione tecnica, grafica, e per contenuto.

Contrariamente a quello che si potrebbe inizialmente pensare, non si tratta di una storia "di mafia" e neanche di una storia di "Falcone e Borsellino". No, si tratta della storia del nostro Paese e quindi la storia delle nostre città, delle nostre strade, del nostro lavoro e, in definitiva, della nostra vita. Quella storia politica, sociale, umana, nascosta o semi-nascosta, che si è mostrata, in tutta la sua ambiguità e il suo orrore solo in determinate, tragiche occasioni. Una storia che è necessario conoscere, per capire, imparare, decodificare il presente e orientare le nostre scelte future.

È l'attore teatrale Mimmo Cuticchio a raccontare idealmente i fatti, muovendo dei "pupi", le marionette siciliane. E comincia dagli anni '70, anni in cui, in Sicilia, cambiavano i vecchi equilibri di mafia, e cominciavano ad affacciarsi, in tutta la loro ferocia, le nuove generazioni e, tra gli altri, i corleonesi. Quindi ci vengono raccontate le dinamiche interne a Cosa Nostra, la ferocia con cui i vari esponenti si combattono e si eliminano tra loro. Ma, allo stesso tempo, la capacità di muoversi e relazionarsi col potere centrale dello Stato, mediante un perverso rapporto con la politica, il mondo della finanza e dell'imprenditoria (anche del Nord) che, di fatto, condanna il Sud a una condizione di prostrazione e sudditanza morale ed economica nei confronti del resto del Paese.
A rovinare il quadro e disturbare il gioco di mafia, politica e affari, arrivano infine dei personaggi "atipici", uomini che non ci stanno, che credono nelle istituzioni e nella pulizia del sistema. Eroi veri, come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e tanti altri poliziotti e magistrati che hanno sacrificato la loro vita in una lotta impari. L'attenzione si sposta quindi su di loro, sul modo in cui fanno leva sui collaboratori di giustizia, sul loro metodo di colpire la mafia, cioè seguendone lo spostamento dei capitali: da dove arrivano i soldi e dove vanno a finire. Un metodo che scardinerà un sistema di proporzioni planetarie, coinvolgendo l'imprenditoria e la politica italiana e arrivando alle connivenze con servizi segreti e alte cariche militari, alle connessioni con l'eversione di destra, con il traffico di droga e la finanza internazionale, e persino la CIA.
Leggere quali e quanti ostacoli sono stati imposti a questi uomini eroici è davvero impressionante. È forse la cosa che più mi ha colpito: la difficoltà e la solitudine, i veleni e l'ostracismo che, le stesse istituzioni, la stessa società civile, spesso gli stessi intellettuali, hanno riservato loro. Uomini che, chiaramente, hanno pagato il prezzo di "aver capito tutto", troppo.

Tutto questo viene reso a meraviglia da una lettura che mi ha sorpreso per profondità, accuratezza, dovizia di particolari nella ricostruzione storica dei fatti, per la bellezza dei disegni, realizzati con lo stile degli animali antropomorfi, uno stile già usato da Art Spiegelman in Maus, per esempio. Gli animali-avatar di Fabrizio Longo sono qui una scelta potente e straordinariamente efficace: richiamano le reali fattezze fisiche dei protagonisti, ma anche la loro indole; ne esprimono il carattere, gli stati d'animo e le peculiarità morali e psicologiche. Basta osservare un volto per capire, senza bisogno di didascalie e spiegazioni.
A differenza di Maus i volti dei protagonisti non sono categorizzati secondo etnia e neanche in funzione dello "schieramento". Tuttavia i cattivi più cattivi sono identificati spesso con i cinghiali (poveri cinghiali) o come rettili o iene. I poliziotti e i magistrati spesso sono cani da presa o da caccia. Trasversali invece sono i rapaci, i caprini/ovini e i felini. Degne di nota, tra le altre, le scelte di Spadolini-elefante e Andreotti-pipistrello.
Se in Maus i disegni sono in sintonia con l'angoscia e la cupezza dell'olocausto, qui sono più chiari, più espliciti, come a voler palesare, portare alla luce del sole, una realtà altrimenti sconosciuta ai più. E, al contempo, non caricare di cupezza una storia già di per sé tutt'altro che leggera.

Consiglio la lettura di questo libro-fumetto assolutamente a tutti, in particolare a chi si affaccia adesso alla vita da adulto. Per conoscere, per capire, per fare tesoro delle esperienze e del lascito di uomini come Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e gli uomini delle loro scorte; di Francesca Morvillo, Emanuele Basile, Ninni Cassarà, Beppe Montana, Rocco Chinnici, Carlo Alberto Dalla Chiesa e tanti altri che, per noi, per lo Stato, per la nostra società, la nostra libertà, si sono battuti secondo le regole tanto contro i mafiosi, quanto contro chi le regole le dettava e le aggirava. Perché la loro storia non sia vana e perché le loro idee possano continuare a camminare sulle nostre gambe.

«Gli uomini passano ma gli ideali restano e continuano a camminare sulle gambe di altri uomini» (Giovanni Falcone)

mercoledì 10 luglio 2013

DYLAN DOG #287 - "I NUOVI BARBARI"



Vi dico subito che, dopo averlo letto, l'ho sognato.
Nel sogno ero dentro la storia... e al contempo leggevo l'albo, che però... mi si sgretolava in mano! Prima si è scollata la copertina, poi le pagine: rapidamente il fumetto era come invecchiato di 80 anni. Fumettomane maniacale, ero disperato. Mi sono svegliato anche un po' incazzato, salvo poi calmarmi vedendo l'albo, lì, sul comodino, ancora come nuovo. Fatta pace con il sogno, il Sigismondo Froid che vive dentro di me si è messo all'opera e, a torto o ragione, è giunto alla conclusione che il fumetto che si sfalda, che si deteriora rapidamente, non è un particolare casuale. Infatti I nuovi barbari è una storia di caducità e decadenza.

Roberto Recchioni interpreta, in chiave onirica, la decadenza o, almeno, il rischio di decadenza cui, a giudicare da alcuni sintomi, sembrano essere esposti i nostri tempi, tanto nel vissuto quotidiano del cittadino "medio", quanto, in larga scala, dell'intera nostra società.
Limitarsi alla chiave di lettura più immediata, il riferimento all'imbarbarimento e imbrutimento dell'automobilista in coda per le vacanze, credo sia decisamente riduttivo.
Piuttosto invece un incubo, un sogno febbricitante, nel quale ci sono gli elementi dell'assurdo, del distopico, dell'ostile.

La storia non è probabilmente tra le prime di Dylan Dog quanto a velocità e agilità ma è un racconto che, se assorbito al ritmo che l'autore detta, può penetrare nel sub-cosciente mediante tutti i simboli e le situazioni-tipo che rappresenta.
La sua forza sta nell' impalcatura concettuale, la sua struttura portante, nelle atmosfere da incubo, nei tipi umani rappresentati, nei concetti eterni di speranza e perdizione, progresso e lotta per la sopravvivenza.
Una storia in piena sintonia con i segni di decadenza che si intravedono nella società occidentale, una civiltà  iper-nutrita che manifesta crepe e segni di cedimento.
Il cammino a ritroso lungo la strada del tempo, ricco di occasioni per imparare e ricordare, ma costellato di terribili insidie è, a mio avviso, una critica alla società dei consumi, una riflessione su come il progresso ci abbia sì affrancato da condizioni di arretratezza e povertà ma ci abbia allontanati anche da semplicità e naturalezza. E il rischio della perdizione dionisiaca, dell'imbrutimento degli istinti, è sempre dietro l'angolo.
Il "sogno nel sogno" di Dylan è molto eloquente a riguardo: il militare romano che fa schiavi gli uomini, mi fa pensare all'apollineo che domina sul dionisiaco, lo regola, lo mette in riga. Ma il suo destino è segnato: come testimonia il suo volto putrefatto, la decadenza e il disfacimento di ciò che concerne materialmente l'uomo è, ahi noi, ineluttabile.

Si sposano a meraviglia con il mood della storia, potenziandolo ed esprimendolo al meglio, i disegni di un ottimo Bruno Brindisi, che si direbbe abbia fatto un lavoro davvero in perfetta simbiosi con le idee di Recchioni.

L'identificazione con Dylan Dog, da parte del lettore, è pressoché inevitabile e, a condire un po' la drammaticità del racconto, senza peraltro annacquarla o interromperla, giungono le battute di un Groucho davvero in stato di grazia.
Il che è sempre un ottimo sogno. Pardon, segno.

DYLAN DOG #287 - "I NUOVI BARBARI" (agosto 2010, ristampa giugno 2013) di ROBERTO RECCHIONI, BRUNO BRINDISI. Copertina di ANGELO STANO. SERGIO BONELLI EDITORE.

mercoledì 8 maggio 2013

Iron Man 3


Quando Robert Downey jr. dice "I am Iron Man" bisogna prenderlo in parola. Se Testa di Ferro è diventato una delle punte di diamante della scuderia Marvel, lo si deve senza dubbio alle doti istrioniche dell'attore americano. E anche questo terzo, bellissimo capitolo di Iron Man, poggia infatti tutto sulle spalle del suo play-maker. Azione, humour, sentimento, pathos, gli ingredienti di questo "due-ore" di puro divertimento.

Più Tony Stark che Iron Man, attenzione focalizzata più sull'uomo che sul super-eroe fumettistico, un po' nel solco tracciato da tutta la cine-produzione super-eroistica matura, leggasi quindi batmaniana, da Burton a Nolan. Ma questo film reca distintamente, inequivocabilmente, l'impronta del regista, Shane Black, già sceneggiatore di Arma letale 1 e 2 (1987,1989), Scuola di Mostri (1987), L'ultimo Boy-Scout (1991), Last Action Hero (1993), Spy (1996), Kiss Kiss, Bang Bang (2005), per citarne alcuni.
Se le dosi generose di humour tolgono spazio alla tensione narrativa ma tutto sommato non guastano, il film a un certo punto vira di 180° e prende una direzione per molti del tutto inaspettata. Una sterzata che, a buona ragione, ha determinato una frizione con buona parte dei fan, lettori del fumetto; una virata che potrebbe sembrare una scelta debole, un tradimento all'ortodossia, il raffazzonamento di una trama che, in definitiva, ha toppato.
Un colpo di scena spiazzante al punto che, a un certo punto, ero seriamente tentato di scrivere due versioni, due considerazioni di segno diverso, anzi, opposto, riguardo quanto avevo appena visto.

La questione-Mandarino
L'oggetto del contendere, quello che per molti è un equivoco, un errore, per alcuni una grave magagna, è probabilmente da ricondurre al tentativo, da parte degli autori di questo film, di operare un cambiamento in un certo modo di rappresentare l'antagonista, un modo forse troppo xenofobo e propagandistico, troppo "reaganiano", anni-80, per intenderci. Della serie: NOI siamo i buoni, e LORO sono i cattivi. Qui il villain subisce un'evoluzione, una mutazione, fa un passo in avanti: il cattivo non è più l'ALTRO, non è più lo straniero; quell'avversario "classico" diventa un bozzolo vuoto, un pupazzo inanimato, un fenomeno di carta.
Mandarino in questo film è evoluto. Dalla sagoma, dal bozzolo del Mandarino del passato, esce un nuovo Mandarino, figlio di tempi diversi. Se non si coglie questo passaggio ci si è persi inevitabilmente qualcosa del film.

Ora il cattivo è "uno di noi". È forse il segno dei tempi, vuole rispecchiare un'altra America (e forse un altro Occidente), che fa tesoro della lezione del Medio-Oriente e comincia a guardarsi all'interno, a guardare alle proprie storture, ai propri errori, alle proprie debolezze e ai grandi rischi che corre, per colpa propria, non per colpa di "altri", spesso utilizzati e agitati a mo' di spauracchio. Rischi che corre anche per un'eccessiva fiducia in una scienza e una tecnica, sempre importantissime, ma che rischiano di valicare confini (l'unicità, la sacralità della vita, tra gli altri) oltre i quali si rischia di ritrovarsi poi "troppo lontani dalla riva". Ed ecco l'uomo che, per amore, dimostra di avere il controllo sulle proprie macchine, che ritornano al loro ruolo di strumenti, quando non di meri giocattoli.
D'altro canto, però, bisogna dire che il "messaggio" (operazione sempre estremamente rischiosa per qualunque regista) può risultare, tutto sommato, non necessario, superfluo per i tempi che stiamo vivendo e soprattutto per il pubblico più scafato e smaliziato e, al contempo, inutile, vano, per il pubblico meno avveduto.
Bisogna dare atto al regista di non aver calcato la mano su un plot twist davvero avvitatissimo, già essenzialmente pesante, e di aver diluito, in un film ricco di sostanza, di umorismo, azione e divertimento, un "messaggio" altrimenti didascalico e ridondante e una scelta per qualcuno ai limiti dell'eresia.
Ma non è bastato, e la scelta, per i lettori più ortodossi, è rimasta indigeribile. Se posso capire che, per qualcuno, l'intento del regista non si sia rivelato efficace, non abbia colto nel segno, non mi sento, invece, di concordare con chi ritiene che sia caduto nel ridicolo. Mi rendo conto benissimo di come la cosa possa o non possa piacere; dipende dai gusti, dal proprio livello di nerd-ortodossia, dalle aspettative, e probabilmente anche dall'età dello spettatore. La persona che era con me alla visione del film, che non ha mai letto un fumetto di Iron Man in vita sua, ha apprezzato il film anche più di me. Un film non è quasi mai la letterale trasposizione dell'opera cui fa riferimento. Ogni regista ne dà una propria interpretazione, prendendosi delle licenze più o meno ampie.
In tutti i casi, si tratta di un film assolutamente da vedere. Non azzardatevi a farvelo scappare perché, anche qualora dovesse deludervi, vi sarà piaciuto lo stesso.
Consiglio per chi ancora non lo avesse visto: rimanete fino alla fine dei titoli di coda: c'è una sorpresa!

venerdì 29 marzo 2013

Action Comics New 52 (1-8) di Grant Morrison


Per il reboot New 52 di Superman, Grant Morrison ha imbastito, sulle pagine di Action Comics, un super-lavoro con ben tre storie in una, cercando di riproporre lo schema dei balzi temporali che con Batman si era rivelato abbastanza vincente. In realtà non si tratta letteralmente di tre storie, ma piuttosto del crocevia, il punto critico in cui passato, presente e futuro di Superman si incontrano, lo snodo fondamentale, il momento cruciale della vicenda dell'uomo d'acciaio, il vero inizio di Superman sulla Terra.
Morrison infatti riscrive il passato remoto, le origini del personaggio (in versione abbastanza completa, ma "bonsai"); ambienta una storia nel passato prossimo, con un Superman alle prime armi, anzi, primissime, che si trova, alieno, solo contro tutti, a fronteggiare il "Collezionista di mondi" e ci appiccica sopra un'altra "storia", con Superman che arriva dal futuro insieme alla Legione, per sventare il "diabolico piano" della Lega Anti-Superman, un'accozzaglia di cattivoni che si sarebbero miniaturizzati in un tesseratto "sparato" (ma dove, come, quando?) all'interno della testa di Superman dopo aver rubato il nucleo di kryptonite grezza dal motore del razzo che ha condotto il piccolo Kal-El sulla Terra.
Qual è il comune denominatore per collegare questi tre momenti, le tre "storie"? Il razzo.
Infatti il razzo serve per fermare il Collezionista di mondi. Senza il nucleo di kryptonite il razzo muore e il Collezionista si riavvia.

Un lavoro molto cervellotico da parte di Morrison che sembra voler fare con il lettore il gioco delle tre carte. Ma il rischio è che il prodotto finale non sia immediato, non sia godibile. È vero che ragionare sopra quello che si legge fa bene. Ma deve anche essere gratificante. Quello che leggi, secondo me, ti deve "stupire", una volta che lo comprendi. Qui questo non avviene ancora. Il tutto si rivela fondamentalmente "normale". Per di più frettoloso e, quindi, superficiale. Non epico, non grandioso, non "Super". Come invece dovrebbe essere. Non c'è ancora introspezione vera nella psicologia del personaggio. Il gran cuore di Superman non si vede davvero. Assenza totale delle motivazioni che lo portano ad essere quel che è. Sì, è un bravo ragazzo, un giornalista impegnato nel sociale, ma sembra "lontano", "per i fatti suoi", non comunica col lettore, non buca il foglio, non arriva. La ricostruzione delle origini è buona a tratti, ma, francamente, speriamo che venga ancora di più approfondita. È completa, ma è come una ricetta in piccolo: tutti gli ingredienti, ma in quantità "micro", quasi in due dimensioni, piatta. Mamma e soprattutto pa' Kent sono fondamentali, sono un bel pezzo del cuore di Superman. E, senza di loro, il personaggio perde molto. Un reboot di Superman non può vederli solo come "comparse". Peraltro, le pagine in cui si racconta di loro, sono forse le più belle dello story-arc.
La storia del Collezionista è interessante invece, così come la figura di Lex Luthor e il suo rapporto con Clark e con Superman ma, anche qui, il tutto sembra ancora "piccolo", poco epico. Bene le figure di Glenmorgan, del "terribile piccoletto", ma anche ben caratterizzati John Corben e "Acciaio".
La faccenda della Lega anti-Superman che si infila nella sua testa per spartirsi la kryptonite  lascia un po' perplessi e sarà sicuramente ripresa e approfondita nel seguito della storia.
Un Morrison contorto e che ancora nasconde le proprie carte, non subito efficace come era stato con Batman.
Attendiamo comunque ulteriori sviluppi, sperando di poter correggere il tiro.

giovedì 21 marzo 2013

Manu Larcenet: LO SCONTRO QUOTIDIANO (Le combat ordinaire) - Vol. 1


Hai un lavoro, dei genitori, un fratello, degli amici. In apparenza una vita piacevole, normale, tranquilla. Eppure, eppure c'è qualcosa che non va. Se, in tutto questo, non trovi la tua dimensione, allora tutto diventa, quotidianamente, normalmente, in maniera ordinaria, uno scontro.

È di questo che racconta Lo scontro quotidiano (Le Combat ordinaire), un fumetto scritto da Manu Larcenet, suddiviso in quattro volumi, pubblicato in Francia nel 2003 da Dargaud e, in Italia, nel 2007 da Coconino Press.

Racconta il percorso di un uomo, un trentenne di oggi, nevrotico e in preda a frequenti stati d'ansia e attacchi di panico, che si scopre fuori posto in quella che pure sembrerebbe una realtà apparentemente normale e accettabile. Di come ci si sia trovato dentro senza volerlo, magari perché altri, o le contingenze, lo abbiano collocato lì. E di come percepisca il tutto come una incomprensibile parete di una prigione, contro la quale "scontrarsi" è la sola cosa "ordinaria" che riesca a fare.

Quando neanche l'ormai archetipico lettino di uno psichiatra sembra riuscire a offrire una soluzione, allora ecco la decisione: addio al lavoro, addio alla città, addio a tutto il mondo di prima.

Il protagonista, Marco, si trasferisce in campagna e lì, insieme al gatto Adolf, inizia un percorso di riscoperta di se stesso e della propria dimensione. Ed ecco che la realtà circostante diventa non più soltanto qualcosa con cui scontrarsi (gli "scontri" continuano eccome), ma comincia a essere anche occasione di "incontri".

Tra questi, Emilie, la veterinaria che cura Adolf e che, dolcemente e con discrezione, ma allo stesso tempo con sicurezza e decisione, entrerà nel cuore e nella vita di Marco, conferendole un gusto e un sapore finalmente nuovi.

Se fisicamente si è allontanato dalla propria famiglia, in realtà Marco la sta riscoprendo, attraverso la riscoperta di sé, della propria natura, del proprio passato.

Invece di fotografare paesaggi e stanco di fotografare i drammi da inviato nei teatri di guerra, comincia a fotografare gli operai che lavorano nei cantieri navali, gli ex-colleghi di suo padre.

Ora, quelli che da piccolo gli sembravano uomini forti e invincibili, gli appaiono in tutta la loro debolezza.

Si tratta di una lettura che, per quanto improntata a uno stile minimal e con aloni di cultura ed etica progressista, rimane tuttavia abbastanza scevra da intenti presuntuosi e da "messaggi" di qualsiasi genere. È invece una narrazione quotidiana, ordinaria, nella quale è facile identificarsi. Mai noiosa ma, al contrario, leggera e allo stesso tempo dotata di peso specifico e sempre coinvolgente e comunicativa, dai toni a tratti divertenti e umoristici, cui si alternano momenti drammatici, commoventi, gravidi di innumerevoli spunti di riflessione. A questo contribuisce anche la parte grafica: pur essendo molto semplici e realizzati in stile caricaturale, i disegni sono molto comunicativi, seri, paradossalmente realistici, emotivamente vivi e intensi, mai fuori luogo e, allo stesso tempo, alleggeriscono la lettura. Il tutto risulta in un quadro con un protagonista, ma anche tanti comprimari, tutti con una psicologia ben approfondita e dettagliata.

Le Combat Ordinarie ha vinto il primo premio come miglior libro al Festival Internazionale del Fumetto di Angoulême nel 2004.

Lettura non vietata a nessuno, consigliata agli over 18 e in particolare a chi si aggira attorno ai 30. A chi sta arrivando a quel punto in cui non si fa ancora un bilancio definitivo, ma ci si può ritrovare a chiedersi se la strada fin lì imboccata sia effettivamente quella giusta.

sabato 16 marzo 2013

V FOR VENDETTA (Alan Moore, David Lloyd. 1982)

«Siamo nel 1988. I tabloid stanno diffondendo l’idea dei campi di concentramento per le persone malate di AIDS. La nuova polizia antisommossa indossa visiere nere, proprio come i loro cavalli, e sul tettuccio dei loro cellulari sono montate videocamere ruotanti. Il governo ha espresso il desiderio di estirpare l’omosessualità, persino come concetto astratto, e si possono solo fare ipotesi su quale sia la prossima minoranza contro cui si legifererà. Penso di prendere la mia famiglia e andarmene via da questo Paese. È diventato freddo e cattivo e non mi piace più.»

Queste parole le scrive Alan Moore nell'introduzione al primo numero di V Per Vendetta. È quindi in quel contesto, in quel momento storico (reale, non di fantasia), ossia la Gran Bretagna ultra-conservatrice di Margaret Thatcher, che va inquadrata la nascita dell'opera del genio di Northampton. Ma questo non toglie affatto all'opera la sua portata estremamente attuale, per il momento storico che viviamo, e assolutamente universale per l'umanità e la profondità dei temi trattati.
Anche se poi smentito in parte dai fatti, Moore era convinto che, in caso di guerra nucleare, in Gran Bretagna i fascisti avrebbero definitivamente gettato la maschera e rapidamente preso il potere. Da queste riflessioni, da questo humus, e da quel particolare momento della storia britannica, verrà fuori la grande metafora di V For Vendetta.

Ambientato alla fine del XX secolo, all'indomani di una tragica e apocalittica guerra nucleare, che ha lasciato il Paese nella disperazione e nella confusione, il racconto ci catapulta immediatamente in una società distopica (tema ricorrente nella letteratura anglosassone) in cui tutto è pervaso di negatività, in cui regna una profonda, asfissiante e rivoltante ingiustizia. In Gran Bretagna viene istituita una sorta di "dittatura" che, in nome dell'ordine e della disciplina, instaura di fatto un regime nazista, affermandosi attraverso persecuzioni, genocidi, campi di concentramento.Tutte le libertà sono negate, tutte le diversità represse e perseguitate. La cultura e l'arte messe al bando. Prevalgono il razzismo, il pregiudizio, l'omofobia e la xenofobia.
Il corpus di questa Dittatura, si articola in: Fato, che tutto dirige, nelle mani di un leader. Occhio, che tutto sorveglia. Orecchio, che tutto ascolta. Dito, che agisce, colpisce e reprime. Voce, che, tramite i mass media, ipnotizza e tiene in assoluta soggezione l'intera popolazione.  E anche Naso, la polizia scientifica.
Negate le libertà basilari dell'individuo e qualsiasi diritto alla privacy. I cittadini sono spiati e controllati in qualsiasi attività quotidiana. In questo scenario appare la figura di V, una sorta di vendicatore mascherato, ispirato al cospiratore rivoluzionario Guy Fawkes, che agisce nell'ombra per scardinare e distruggere il sistema. Ovviamente, viene immediatamente marchiato come terrorista.

Storia cupa, claustrofobica, scritta e disegnata magistralmente da Alan Moore e David Lloyd.  Ricca di simboli e di temi ricorrenti, è piena zeppa di riferimenti storici, culturali, filosofici, di citazioni letterarie, musicali, teatrali e cinematografiche. Per quanto incentrato sulla figura di V, è in realtà un romanzo corale, collettivo. I veri protagonisti finiscono per essere quelli che, all'inizio, sembravano i comprimari. E, via via, il palcoscenico si allarga, coinvolgendo il popolo, persone "qualsiasi", fino a dare al lettore la sensazione di venir messo, esso stesso, in scena.

Tutto il racconto è pervaso da una sorta di senso di disperazione, di angoscia, di ansia. I personaggi appaiono tutti senza speranza, condannati a una fine cupa, grigia, senza una vera luce all'orizzonte. Tutti tranne, forse, Evey. Salvata da V all'inizio, ma che, in qualche modo, finisce per salvarlo idealmente alla fine.

Numerosissimi gli interrogativi che suscita la lettura del romanzo. Da quello più banale "Chi è V?", cui, in qualche modo, viene data una risposta, ad altri, ben più profondi e inquietanti. Può l'uomo ergersi a giudice del destino altrui? Qual è la differenza tra un patriota, quindi un eroe, e un terrorista? Il raggiungimento di un fine considerato "migliore", può giustificare l'uso della violenza e della sopraffazione? Non è forse uguale, sotto questo aspetto, il punto di vista di V e quello dei dittatori? Entrambi anelano a un fine superiore, entrambi sono pronti all'uso della violenza pur di raggiungerlo. E allora dove sta la differenza? La differenza sta forse nella consapevolezza? Sta nel diverso valore etico del fine che ci si prefigge? Ma allora qual è l'etica di riferimento? O forse la diffrenza sta nella capacità di giudicare se stessi, prima che gli altri? Forse. V lo fa. E, alla fine, non si oppone al suo fato. Si affida a Evey senza volere niente in cambio. Non gli importa della sua carne, non del suo sangue. Solo di un'idea. Ma basta questo a giustificare le sue azioni? E poi, ancora, altri interrogativi: può il popolo auto-governarsi volontariamente? Senza imposizioni, senza padroni, secondo il principio più profondo dell'anarchia? La differenza tra anarchia e caos, è solo teorica? Può realizzarsi una società senza capi? Senza qualcuno che "comandi"?
C'è ancora la possibilità di salvarsi, quando ormai tutto è perduto e difficilmente può essere recuperato?
E infine, la nostra società, quanto è vicina a un sistema che anestetizza l'uomo, che gli dà l'illusione di essere libero, che lo nutre di cose vacue, superflue e inutili, facendogli perdere di vista le cose importanti, persino la sua stessa umanità?
Chi è disposto a fare un cammino come quello di V, o come quello di Evey o di Finch, per "uscire fuori dalla scatola ovattata" e vedere il mondo da un altro punto di vista?
Questo mi costringe a tornare di riflesso alla prima delle domande che ci eravamo posti e che, superficialmente, avevo "bollato" come piuttosto "banale". E a darle una risposta. Sì, credo proprio che V siamo noi. Ognuno di noi può esserlo. Per questo Moore vuole che il personaggio non abbia volto, per questo Evey non gli leva la maschera: perché a nessuno sia preclusa la possibilità di essere V, libero e consapevole come lui.

E' evidente come non si tratti di una lettura leggera. E' una lettura a vari "strati" dalla quale, ogni volta che viene ripetuta, emergono spunti, dubbi, riflessioni e punti di vista di volta in volta anche radicalmente differenti.
Ma una lettura che, di tanto in tanto, è bene ripetere.

venerdì 15 marzo 2013

Focus on: BANE

Nato nel 1993 dalla mente di Chuck Dixon e Doug Moench e dalle matite di Graham Nolan e subito utilizzato come trovata commerciale per risollevare le vendite in una fase di "stanca", Bane si è tuttavia rivelato immediatamente un "lavoro fatto bene", un personaggio dal potenziale immenso e, finora, probabilmente non del tutto esplorato e realizzato. Un personaggio che è ancora tanto terreno fertile, che ha ancora tanto da dare e che tanto darà sicuramente.

Figlio di Edmund Dorrance, il Re Serpente, Bane nasce e cresce nel penitenziario di Peña Duro, presso l'isola caraibica di Santa Prisca, dove sconta, in maniera assurda, la pena inflitta al padre evaso. Qui viene sottoposto a torture ed esperimenti, ma si impone anche una ferrea disciplina, durissimi allenamenti, l'esercizio della mente e l'apprendimento delle arti umanistiche. Il risultato è un uomo dotato di una forza fisica e di un intelletto fuori dal comune. Entrambi potenziati, almeno inizialmente, da una droga, il Venom, che si auto-somministra attraverso dei tubi che entrano direttamente nel cranio. Bane diventa il leader incontrastato all'interno del penitenziario e quindi evade, alla volta del mondo "di fuori", con un unico, grande obiettivo: "Vendetta".

Sotto certi aspetti, Bane può essere considerato un "reverse-Batman". Entrambi vittime dell'ingiustizia in tenera età, entrambi giurano vendetta, si allenano, si affinano alla perfezione, e fanno della propria vita, ognuno a modo proprio, una "crociata", una missione. Totalmente capovolti però i valori.
Se Bruce Wayne è vittima della criminalità dilagante, Bane è vittima di una giustizia "ufficiale" che però diventa inaccettabile, assurda iniquità nel momento in cui un bimbo nasce in carcere e deve scontare la pena cui era stato condannato il padre. Entrambi i personaggi nascono sotto il segno dell'ingiustizia, entrambi innocenti.
Ma l'uno ha giurato di distruggere il mondo dell'altro e di combattere per tutta la vita i princìpi su cui quel "mondo" si fonda.

IL BANE CHE VORREI: campione di un mondo sconfitto.
- Riflessioni personali sul personaggio. 
In un mondo in cui il divario tra chi ha tanto (sempre pochi) e chi non ha niente (sempre in aumento), sembra allargarsi ulteriormente, Bane è un personaggio estremamente attuale. Da un punto di vista concettuale, il punto debole di Bane è, paradossalmente, proprio la sua forza. O meglio, la sua cattiveria. Perché, in realtà, avrebbe tutte le carte in regola per essere una sorta di rivoluzionario, un ribelle che rappresenta gli ultimi, i dimenticati, i reietti.
Uno che torna nel mondo "ufficiale" che lo ha condannato fin dalla nascita, che ignora quelli come lui, che vive nel lusso, lasciando così poco a tutti gli altri (cit. da TDKR). Torna e vuole la sua vendetta, la "SUA" giustizia. Se solo si avesse il coraggio, a mio avviso, di "maturarlo", se gli si desse, coerentemente con il suo genio e le sue qualità intellettuali, un ideale, una causa, (condivisibili o meno) per cui combattere, e non solo "Distruzione", "Picchiare Batman", "Far saltare tutto in aria", beh, credetemi, Bane sarebbe la più grande critica alla figura di Batman e di ogni altro vero "super-eroe".
Se, in altre parole, si sviluppasse ciò che, in nuce, già è presente ne La Vendetta di Bane, la storia che ne narra le origini.
Assurgerebbe a figura di anti-eroe, non più di semplice villain tutto sommato mediocre e destinato all'eterna sconfitta. Se, in futuro, si riuscirà a concedere a Bane un salto di qualità, se lo si farà maturare, allora Batman potrebbe essere costretto a chiedersi: "ma io da che parte sto"?
Se vogliamo, a rischio di farla apparire una forzatura, e al netto di tutte le evidenti differenze, Bane ha dei tratti in comune nientemeno che con "V" di V For Vendetta. Emarginazione, prigionia, sofferenza, amore per l'arte e la cultura, preparazione, rinascita, ritorno, vendetta. Ve lo immaginate una sorta di "V" contro Batman? Beh, questo è presente, potenzialmente, in Bane.
Al momento, invece, ciò che Bane rappresenta, non è più grande e non è neanche allo stesso livello concettuale di ciò che è, invece, Batman.
Non è come Joker, per dire, che invece incarna la follia pura, il caos, il male assoluto e fine a se stesso. Tutte cose negative, per carità. Ma anche tutte forze ancestrali, pure e distruttive, innate nell'uomo e, se vogliamo, nella natura. Di fronte a Joker, Batman è superiore solo da un punto di vista etico, morale. Ma non concettuale. Su quel piano, sono paritari. E per questo Joker è l'eterna nemesi di Batman. Per questo non sarà mai sconfitto definitivamente.
Stessa cosa dicasi per Ra's Al-Ghul, per esempio. Che rappresenta una forza misteriosa, occulta, per quanto deviata e crudele, anch'essa paritaria, su un piano assoluto, a ciò che Batman rappresenta. E anch'essa inferiore solo da un punto di vista morale. E la morale, si sa, può essere relativa.
Bane no. Bane è, rispetto ad altri nemici di Batman, ancora inferiore. Sia eticamente che concettualmente, per le forze che esso esprime. Il suo apice, non è concettuale, non è l'intelletto, di cui è pur dotato, ma la forza bruta.

LETTURE.
Bane esordisce ne La Vendetta di Bane (Dixon, Nolan; 1993), probabilmente la sua storia più importante, anche più della successiva Knightfall (1993), sotto certi aspetti. Quella che ne narra, in buona parte almeno, le origini e la genesi. È la matrice da cui possono essere tirati tutti i "fili" per tessere la storia e le evoluzioni di questo personaggio.

Recentemente protagonista in The Dark Knight Rises, Bane sta rivivendo un nuovo momento importante. Vedremo se e in che misura il Bane di Nolan, rivoluzionario ma ancora folle e distruttivo, nonché manovrato da altri, influenzerà il Bane che vedremo nei fumetti. Se prevarrà la suggestione del Bane visto inizialmente nella pellicola, rivoluzionario e idealista, oppure se continueremo a vedere il Bane distruttivo, manovrabile e tutto sommato mediocre, che si è visto nella conclusione del film.