venerdì 29 marzo 2013

Action Comics New 52 (1-8) di Grant Morrison


Per il reboot New 52 di Superman, Grant Morrison ha imbastito, sulle pagine di Action Comics, un super-lavoro con ben tre storie in una, cercando di riproporre lo schema dei balzi temporali che con Batman si era rivelato abbastanza vincente. In realtà non si tratta letteralmente di tre storie, ma piuttosto del crocevia, il punto critico in cui passato, presente e futuro di Superman si incontrano, lo snodo fondamentale, il momento cruciale della vicenda dell'uomo d'acciaio, il vero inizio di Superman sulla Terra.
Morrison infatti riscrive il passato remoto, le origini del personaggio (in versione abbastanza completa, ma "bonsai"); ambienta una storia nel passato prossimo, con un Superman alle prime armi, anzi, primissime, che si trova, alieno, solo contro tutti, a fronteggiare il "Collezionista di mondi" e ci appiccica sopra un'altra "storia", con Superman che arriva dal futuro insieme alla Legione, per sventare il "diabolico piano" della Lega Anti-Superman, un'accozzaglia di cattivoni che si sarebbero miniaturizzati in un tesseratto "sparato" (ma dove, come, quando?) all'interno della testa di Superman dopo aver rubato il nucleo di kryptonite grezza dal motore del razzo che ha condotto il piccolo Kal-El sulla Terra.
Qual è il comune denominatore per collegare questi tre momenti, le tre "storie"? Il razzo.
Infatti il razzo serve per fermare il Collezionista di mondi. Senza il nucleo di kryptonite il razzo muore e il Collezionista si riavvia.

Un lavoro molto cervellotico da parte di Morrison che sembra voler fare con il lettore il gioco delle tre carte. Ma il rischio è che il prodotto finale non sia immediato, non sia godibile. È vero che ragionare sopra quello che si legge fa bene. Ma deve anche essere gratificante. Quello che leggi, secondo me, ti deve "stupire", una volta che lo comprendi. Qui questo non avviene ancora. Il tutto si rivela fondamentalmente "normale". Per di più frettoloso e, quindi, superficiale. Non epico, non grandioso, non "Super". Come invece dovrebbe essere. Non c'è ancora introspezione vera nella psicologia del personaggio. Il gran cuore di Superman non si vede davvero. Assenza totale delle motivazioni che lo portano ad essere quel che è. Sì, è un bravo ragazzo, un giornalista impegnato nel sociale, ma sembra "lontano", "per i fatti suoi", non comunica col lettore, non buca il foglio, non arriva. La ricostruzione delle origini è buona a tratti, ma, francamente, speriamo che venga ancora di più approfondita. È completa, ma è come una ricetta in piccolo: tutti gli ingredienti, ma in quantità "micro", quasi in due dimensioni, piatta. Mamma e soprattutto pa' Kent sono fondamentali, sono un bel pezzo del cuore di Superman. E, senza di loro, il personaggio perde molto. Un reboot di Superman non può vederli solo come "comparse". Peraltro, le pagine in cui si racconta di loro, sono forse le più belle dello story-arc.
La storia del Collezionista è interessante invece, così come la figura di Lex Luthor e il suo rapporto con Clark e con Superman ma, anche qui, il tutto sembra ancora "piccolo", poco epico. Bene le figure di Glenmorgan, del "terribile piccoletto", ma anche ben caratterizzati John Corben e "Acciaio".
La faccenda della Lega anti-Superman che si infila nella sua testa per spartirsi la kryptonite  lascia un po' perplessi e sarà sicuramente ripresa e approfondita nel seguito della storia.
Un Morrison contorto e che ancora nasconde le proprie carte, non subito efficace come era stato con Batman.
Attendiamo comunque ulteriori sviluppi, sperando di poter correggere il tiro.

giovedì 21 marzo 2013

Manu Larcenet: LO SCONTRO QUOTIDIANO (Le combat ordinaire) - Vol. 1


Hai un lavoro, dei genitori, un fratello, degli amici. In apparenza una vita piacevole, normale, tranquilla. Eppure, eppure c'è qualcosa che non va. Se, in tutto questo, non trovi la tua dimensione, allora tutto diventa, quotidianamente, normalmente, in maniera ordinaria, uno scontro.

È di questo che racconta Lo scontro quotidiano (Le Combat ordinaire), un fumetto scritto da Manu Larcenet, suddiviso in quattro volumi, pubblicato in Francia nel 2003 da Dargaud e, in Italia, nel 2007 da Coconino Press.

Racconta il percorso di un uomo, un trentenne di oggi, nevrotico e in preda a frequenti stati d'ansia e attacchi di panico, che si scopre fuori posto in quella che pure sembrerebbe una realtà apparentemente normale e accettabile. Di come ci si sia trovato dentro senza volerlo, magari perché altri, o le contingenze, lo abbiano collocato lì. E di come percepisca il tutto come una incomprensibile parete di una prigione, contro la quale "scontrarsi" è la sola cosa "ordinaria" che riesca a fare.

Quando neanche l'ormai archetipico lettino di uno psichiatra sembra riuscire a offrire una soluzione, allora ecco la decisione: addio al lavoro, addio alla città, addio a tutto il mondo di prima.

Il protagonista, Marco, si trasferisce in campagna e lì, insieme al gatto Adolf, inizia un percorso di riscoperta di se stesso e della propria dimensione. Ed ecco che la realtà circostante diventa non più soltanto qualcosa con cui scontrarsi (gli "scontri" continuano eccome), ma comincia a essere anche occasione di "incontri".

Tra questi, Emilie, la veterinaria che cura Adolf e che, dolcemente e con discrezione, ma allo stesso tempo con sicurezza e decisione, entrerà nel cuore e nella vita di Marco, conferendole un gusto e un sapore finalmente nuovi.

Se fisicamente si è allontanato dalla propria famiglia, in realtà Marco la sta riscoprendo, attraverso la riscoperta di sé, della propria natura, del proprio passato.

Invece di fotografare paesaggi e stanco di fotografare i drammi da inviato nei teatri di guerra, comincia a fotografare gli operai che lavorano nei cantieri navali, gli ex-colleghi di suo padre.

Ora, quelli che da piccolo gli sembravano uomini forti e invincibili, gli appaiono in tutta la loro debolezza.

Si tratta di una lettura che, per quanto improntata a uno stile minimal e con aloni di cultura ed etica progressista, rimane tuttavia abbastanza scevra da intenti presuntuosi e da "messaggi" di qualsiasi genere. È invece una narrazione quotidiana, ordinaria, nella quale è facile identificarsi. Mai noiosa ma, al contrario, leggera e allo stesso tempo dotata di peso specifico e sempre coinvolgente e comunicativa, dai toni a tratti divertenti e umoristici, cui si alternano momenti drammatici, commoventi, gravidi di innumerevoli spunti di riflessione. A questo contribuisce anche la parte grafica: pur essendo molto semplici e realizzati in stile caricaturale, i disegni sono molto comunicativi, seri, paradossalmente realistici, emotivamente vivi e intensi, mai fuori luogo e, allo stesso tempo, alleggeriscono la lettura. Il tutto risulta in un quadro con un protagonista, ma anche tanti comprimari, tutti con una psicologia ben approfondita e dettagliata.

Le Combat Ordinarie ha vinto il primo premio come miglior libro al Festival Internazionale del Fumetto di Angoulême nel 2004.

Lettura non vietata a nessuno, consigliata agli over 18 e in particolare a chi si aggira attorno ai 30. A chi sta arrivando a quel punto in cui non si fa ancora un bilancio definitivo, ma ci si può ritrovare a chiedersi se la strada fin lì imboccata sia effettivamente quella giusta.

sabato 16 marzo 2013

V FOR VENDETTA (Alan Moore, David Lloyd. 1982)

«Siamo nel 1988. I tabloid stanno diffondendo l’idea dei campi di concentramento per le persone malate di AIDS. La nuova polizia antisommossa indossa visiere nere, proprio come i loro cavalli, e sul tettuccio dei loro cellulari sono montate videocamere ruotanti. Il governo ha espresso il desiderio di estirpare l’omosessualità, persino come concetto astratto, e si possono solo fare ipotesi su quale sia la prossima minoranza contro cui si legifererà. Penso di prendere la mia famiglia e andarmene via da questo Paese. È diventato freddo e cattivo e non mi piace più.»

Queste parole le scrive Alan Moore nell'introduzione al primo numero di V Per Vendetta. È quindi in quel contesto, in quel momento storico (reale, non di fantasia), ossia la Gran Bretagna ultra-conservatrice di Margaret Thatcher, che va inquadrata la nascita dell'opera del genio di Northampton. Ma questo non toglie affatto all'opera la sua portata estremamente attuale, per il momento storico che viviamo, e assolutamente universale per l'umanità e la profondità dei temi trattati.
Anche se poi smentito in parte dai fatti, Moore era convinto che, in caso di guerra nucleare, in Gran Bretagna i fascisti avrebbero definitivamente gettato la maschera e rapidamente preso il potere. Da queste riflessioni, da questo humus, e da quel particolare momento della storia britannica, verrà fuori la grande metafora di V For Vendetta.

Ambientato alla fine del XX secolo, all'indomani di una tragica e apocalittica guerra nucleare, che ha lasciato il Paese nella disperazione e nella confusione, il racconto ci catapulta immediatamente in una società distopica (tema ricorrente nella letteratura anglosassone) in cui tutto è pervaso di negatività, in cui regna una profonda, asfissiante e rivoltante ingiustizia. In Gran Bretagna viene istituita una sorta di "dittatura" che, in nome dell'ordine e della disciplina, instaura di fatto un regime nazista, affermandosi attraverso persecuzioni, genocidi, campi di concentramento.Tutte le libertà sono negate, tutte le diversità represse e perseguitate. La cultura e l'arte messe al bando. Prevalgono il razzismo, il pregiudizio, l'omofobia e la xenofobia.
Il corpus di questa Dittatura, si articola in: Fato, che tutto dirige, nelle mani di un leader. Occhio, che tutto sorveglia. Orecchio, che tutto ascolta. Dito, che agisce, colpisce e reprime. Voce, che, tramite i mass media, ipnotizza e tiene in assoluta soggezione l'intera popolazione.  E anche Naso, la polizia scientifica.
Negate le libertà basilari dell'individuo e qualsiasi diritto alla privacy. I cittadini sono spiati e controllati in qualsiasi attività quotidiana. In questo scenario appare la figura di V, una sorta di vendicatore mascherato, ispirato al cospiratore rivoluzionario Guy Fawkes, che agisce nell'ombra per scardinare e distruggere il sistema. Ovviamente, viene immediatamente marchiato come terrorista.

Storia cupa, claustrofobica, scritta e disegnata magistralmente da Alan Moore e David Lloyd.  Ricca di simboli e di temi ricorrenti, è piena zeppa di riferimenti storici, culturali, filosofici, di citazioni letterarie, musicali, teatrali e cinematografiche. Per quanto incentrato sulla figura di V, è in realtà un romanzo corale, collettivo. I veri protagonisti finiscono per essere quelli che, all'inizio, sembravano i comprimari. E, via via, il palcoscenico si allarga, coinvolgendo il popolo, persone "qualsiasi", fino a dare al lettore la sensazione di venir messo, esso stesso, in scena.

Tutto il racconto è pervaso da una sorta di senso di disperazione, di angoscia, di ansia. I personaggi appaiono tutti senza speranza, condannati a una fine cupa, grigia, senza una vera luce all'orizzonte. Tutti tranne, forse, Evey. Salvata da V all'inizio, ma che, in qualche modo, finisce per salvarlo idealmente alla fine.

Numerosissimi gli interrogativi che suscita la lettura del romanzo. Da quello più banale "Chi è V?", cui, in qualche modo, viene data una risposta, ad altri, ben più profondi e inquietanti. Può l'uomo ergersi a giudice del destino altrui? Qual è la differenza tra un patriota, quindi un eroe, e un terrorista? Il raggiungimento di un fine considerato "migliore", può giustificare l'uso della violenza e della sopraffazione? Non è forse uguale, sotto questo aspetto, il punto di vista di V e quello dei dittatori? Entrambi anelano a un fine superiore, entrambi sono pronti all'uso della violenza pur di raggiungerlo. E allora dove sta la differenza? La differenza sta forse nella consapevolezza? Sta nel diverso valore etico del fine che ci si prefigge? Ma allora qual è l'etica di riferimento? O forse la diffrenza sta nella capacità di giudicare se stessi, prima che gli altri? Forse. V lo fa. E, alla fine, non si oppone al suo fato. Si affida a Evey senza volere niente in cambio. Non gli importa della sua carne, non del suo sangue. Solo di un'idea. Ma basta questo a giustificare le sue azioni? E poi, ancora, altri interrogativi: può il popolo auto-governarsi volontariamente? Senza imposizioni, senza padroni, secondo il principio più profondo dell'anarchia? La differenza tra anarchia e caos, è solo teorica? Può realizzarsi una società senza capi? Senza qualcuno che "comandi"?
C'è ancora la possibilità di salvarsi, quando ormai tutto è perduto e difficilmente può essere recuperato?
E infine, la nostra società, quanto è vicina a un sistema che anestetizza l'uomo, che gli dà l'illusione di essere libero, che lo nutre di cose vacue, superflue e inutili, facendogli perdere di vista le cose importanti, persino la sua stessa umanità?
Chi è disposto a fare un cammino come quello di V, o come quello di Evey o di Finch, per "uscire fuori dalla scatola ovattata" e vedere il mondo da un altro punto di vista?
Questo mi costringe a tornare di riflesso alla prima delle domande che ci eravamo posti e che, superficialmente, avevo "bollato" come piuttosto "banale". E a darle una risposta. Sì, credo proprio che V siamo noi. Ognuno di noi può esserlo. Per questo Moore vuole che il personaggio non abbia volto, per questo Evey non gli leva la maschera: perché a nessuno sia preclusa la possibilità di essere V, libero e consapevole come lui.

E' evidente come non si tratti di una lettura leggera. E' una lettura a vari "strati" dalla quale, ogni volta che viene ripetuta, emergono spunti, dubbi, riflessioni e punti di vista di volta in volta anche radicalmente differenti.
Ma una lettura che, di tanto in tanto, è bene ripetere.

venerdì 15 marzo 2013

Focus on: BANE

Nato nel 1993 dalla mente di Chuck Dixon e Doug Moench e dalle matite di Graham Nolan e subito utilizzato come trovata commerciale per risollevare le vendite in una fase di "stanca", Bane si è tuttavia rivelato immediatamente un "lavoro fatto bene", un personaggio dal potenziale immenso e, finora, probabilmente non del tutto esplorato e realizzato. Un personaggio che è ancora tanto terreno fertile, che ha ancora tanto da dare e che tanto darà sicuramente.

Figlio di Edmund Dorrance, il Re Serpente, Bane nasce e cresce nel penitenziario di Peña Duro, presso l'isola caraibica di Santa Prisca, dove sconta, in maniera assurda, la pena inflitta al padre evaso. Qui viene sottoposto a torture ed esperimenti, ma si impone anche una ferrea disciplina, durissimi allenamenti, l'esercizio della mente e l'apprendimento delle arti umanistiche. Il risultato è un uomo dotato di una forza fisica e di un intelletto fuori dal comune. Entrambi potenziati, almeno inizialmente, da una droga, il Venom, che si auto-somministra attraverso dei tubi che entrano direttamente nel cranio. Bane diventa il leader incontrastato all'interno del penitenziario e quindi evade, alla volta del mondo "di fuori", con un unico, grande obiettivo: "Vendetta".

Sotto certi aspetti, Bane può essere considerato un "reverse-Batman". Entrambi vittime dell'ingiustizia in tenera età, entrambi giurano vendetta, si allenano, si affinano alla perfezione, e fanno della propria vita, ognuno a modo proprio, una "crociata", una missione. Totalmente capovolti però i valori.
Se Bruce Wayne è vittima della criminalità dilagante, Bane è vittima di una giustizia "ufficiale" che però diventa inaccettabile, assurda iniquità nel momento in cui un bimbo nasce in carcere e deve scontare la pena cui era stato condannato il padre. Entrambi i personaggi nascono sotto il segno dell'ingiustizia, entrambi innocenti.
Ma l'uno ha giurato di distruggere il mondo dell'altro e di combattere per tutta la vita i princìpi su cui quel "mondo" si fonda.

IL BANE CHE VORREI: campione di un mondo sconfitto.
- Riflessioni personali sul personaggio. 
In un mondo in cui il divario tra chi ha tanto (sempre pochi) e chi non ha niente (sempre in aumento), sembra allargarsi ulteriormente, Bane è un personaggio estremamente attuale. Da un punto di vista concettuale, il punto debole di Bane è, paradossalmente, proprio la sua forza. O meglio, la sua cattiveria. Perché, in realtà, avrebbe tutte le carte in regola per essere una sorta di rivoluzionario, un ribelle che rappresenta gli ultimi, i dimenticati, i reietti.
Uno che torna nel mondo "ufficiale" che lo ha condannato fin dalla nascita, che ignora quelli come lui, che vive nel lusso, lasciando così poco a tutti gli altri (cit. da TDKR). Torna e vuole la sua vendetta, la "SUA" giustizia. Se solo si avesse il coraggio, a mio avviso, di "maturarlo", se gli si desse, coerentemente con il suo genio e le sue qualità intellettuali, un ideale, una causa, (condivisibili o meno) per cui combattere, e non solo "Distruzione", "Picchiare Batman", "Far saltare tutto in aria", beh, credetemi, Bane sarebbe la più grande critica alla figura di Batman e di ogni altro vero "super-eroe".
Se, in altre parole, si sviluppasse ciò che, in nuce, già è presente ne La Vendetta di Bane, la storia che ne narra le origini.
Assurgerebbe a figura di anti-eroe, non più di semplice villain tutto sommato mediocre e destinato all'eterna sconfitta. Se, in futuro, si riuscirà a concedere a Bane un salto di qualità, se lo si farà maturare, allora Batman potrebbe essere costretto a chiedersi: "ma io da che parte sto"?
Se vogliamo, a rischio di farla apparire una forzatura, e al netto di tutte le evidenti differenze, Bane ha dei tratti in comune nientemeno che con "V" di V For Vendetta. Emarginazione, prigionia, sofferenza, amore per l'arte e la cultura, preparazione, rinascita, ritorno, vendetta. Ve lo immaginate una sorta di "V" contro Batman? Beh, questo è presente, potenzialmente, in Bane.
Al momento, invece, ciò che Bane rappresenta, non è più grande e non è neanche allo stesso livello concettuale di ciò che è, invece, Batman.
Non è come Joker, per dire, che invece incarna la follia pura, il caos, il male assoluto e fine a se stesso. Tutte cose negative, per carità. Ma anche tutte forze ancestrali, pure e distruttive, innate nell'uomo e, se vogliamo, nella natura. Di fronte a Joker, Batman è superiore solo da un punto di vista etico, morale. Ma non concettuale. Su quel piano, sono paritari. E per questo Joker è l'eterna nemesi di Batman. Per questo non sarà mai sconfitto definitivamente.
Stessa cosa dicasi per Ra's Al-Ghul, per esempio. Che rappresenta una forza misteriosa, occulta, per quanto deviata e crudele, anch'essa paritaria, su un piano assoluto, a ciò che Batman rappresenta. E anch'essa inferiore solo da un punto di vista morale. E la morale, si sa, può essere relativa.
Bane no. Bane è, rispetto ad altri nemici di Batman, ancora inferiore. Sia eticamente che concettualmente, per le forze che esso esprime. Il suo apice, non è concettuale, non è l'intelletto, di cui è pur dotato, ma la forza bruta.

LETTURE.
Bane esordisce ne La Vendetta di Bane (Dixon, Nolan; 1993), probabilmente la sua storia più importante, anche più della successiva Knightfall (1993), sotto certi aspetti. Quella che ne narra, in buona parte almeno, le origini e la genesi. È la matrice da cui possono essere tirati tutti i "fili" per tessere la storia e le evoluzioni di questo personaggio.

Recentemente protagonista in The Dark Knight Rises, Bane sta rivivendo un nuovo momento importante. Vedremo se e in che misura il Bane di Nolan, rivoluzionario ma ancora folle e distruttivo, nonché manovrato da altri, influenzerà il Bane che vedremo nei fumetti. Se prevarrà la suggestione del Bane visto inizialmente nella pellicola, rivoluzionario e idealista, oppure se continueremo a vedere il Bane distruttivo, manovrabile e tutto sommato mediocre, che si è visto nella conclusione del film.