mercoledì 29 novembre 2017

Il Celestiale Bibendum di Nicolas De Crécy - L'assenza del bene e la relatività del male.

È il 1994 quando esce il primo volume de Il Celestiale Bibendum, dell'allora 28enne Nicolas De Crécy, per la casa editrice francese Les Humanoïdes associés.

Un giovane De Crécy, il cui enorme potenziale è debordante e in prorompente espansione, ci mette dentro la sua visione del mondo, della religione, della spiritualità; la sua critica al consumismo, al capitalismo, al potere, politico e religioso. A un'umanità che si è allontanata sempre più e ha perso di vista il contatto con le radici della propria stessa natura.

Il protagonista, Diego la foca, incarna un'innocenza perduta, abusata e strumentalizzata, quindi derisa e disprezzata. Un essere così diverso ed estraneo in qualsiasi modo alle logiche dominanti nella società contemporanea, da risultare incomprensibile, alieno, incompatibile con il mondo che lo circonda. È muto, passivo e indifferente a qualsiasi possibilità di stabilire canali di comunicazione.

Non appena giunto nella grande metropoli industriale, la città-metafora di New York-sur-Loire, un ibrido tra Parigi e New York, una classe intellettuale e pedagogica ruffiana e populista che ha abdicato a qualsiasi ruolo di voce e guida anche scomoda, autonoma e indipendente, vuole fare di Diego il proprio fantoccio/feticcio costruito a tavolino e, dietro il paravento della cultura, dell'amore e del bene comune, non desidera altro che usarlo per accrescere il proprio potere omologante e omologato.
La figura del leader, che risulterà poi essere persino costituito fisicamente dall'insieme della massa popolare, e che si appiattisce al cospetto del male, sembra impersonare la corruzione e la sottomissione della classe intellettuale nei confronti di una degenerazione materialistica ed edonistica.
Il diavolo ci mette lo zampino, è vero, ma non fa tutto da solo:  suoi più grandi alleati sono la malvagità e la corruzione dell'uomo, la sua debolezza, che gli spalancano le porte e gli consentono di fare il proprio gioco e imprimere il proprio volere al corso degli eventi.

Grande assente, in questo racconto disperato e profondamente pessimista, pare essere la forza del bene, una vera alternativa al male che riesca a determinare un reale cambiamento nel cuore degli uomini. Il bene è invece pura passività, inetto, indifeso e sconfitto terreno di conquista e devastazione. Tabula rasa sulla quale il male e la corruzione possono creare e costruire la propria realtà e la propria verità. Senza che niente e nessuno riesca a opporre loro resistenza.

Ma anche il male, alla fine, viene relativizzato. Per smontare definitivamente ogni manicheismo, De Crécy si serve di Belzebù, o Satana, insomma, il "capo dei diavoli", il quale è un buffo omuncolo che pensa di essere il male assoluto ma deve scontrarsi con una realtà ben diversa: egli è solo il diavolo degli uomini e non ha alcuna autorità sugli altri esseri viventi e le altre forme di esistente, ognuna delle quali ha un proprio inferno e un proprio specifico satanasso.
La sua visione antropocentrica che lo porta ad affermare "io mi occupo degli uomini e gli uomini si occupano delle bestie" si rivela fallace.

De Crécy pare così voler togliere definitivamente l'uomo dal centro di un universo che non gli appartiene in esclusiva e con il quale ha invece perso ogni reale e profondo contatto.

L'autore infine toglie al suo stesso racconto ogni casacca che possa identificarlo e associarlo a un qualsiasi tipo di messaggio morale. La denuncia dell'allontanamento dell'uomo da una condizione naturale e primigenia, pur implicita, viene fortemente stemperata da una dose di acida ironia e privata di ogni celebrazione e di ogni retorica: Diego, entità ingenua e bonaria, prende vita da pneumatici andati a male (Bibendum è il nome con il quale i francesi chiamavano l'omino Michelin delle prime pubblicità), fuori produzione e fusi da un'eccessiva vicinanza a fonti di calore; non è celestiale ma emerge da un brodo primordiale fatto di tanfo portuale, scarichi di nave e olezzi di reflui urbani. Se mai c'è stata una natura umana innocente e pura, essa è ormai andata perduta.

Non c'è emozione, non ci sono sentimenti contrariati, nessuna love story impossibile né si versano lacrime. L'autore dichiara apertamente, alla fine del racconto, quasi a volerne dare una spiegazione o, quanto meno, un indizio, quale sia stata la soluzione narrativa e la direzione che ha scelto per il proprio racconto: nessuna celestialità ma il tanfo e lo sporco delle più infime bassezze della natura umana, perché come dice la voce narrante del prof. Lomax, "il celestiale lo si vede dal terreno, non da più in alto".

Il Celestiale Bibendum è una lettura non facile e dalla non semplice interpretazione. Lo scrittore fa spesso ricorso a passaggi e associazioni mentali davvero singolari, sovente deliranti; le stesse che può capitare di sperimentare durante uno stato febbrile. Un delirio febbricitante che, nonostante la deformazione dei contorni della realtà, mantiene sempre una buona aderenza al verosimile, al credibile.
Si tratta di un racconto nel quale sono rintracciabili i contorni e i contenuti di un intero sistema filosofico, di un intera visione del mondo e della realtà che ci circonda.
Un biglietto da visita di tutto rispetto per un giovane De Crécy che dimostra di sapere benissimo cosa intende dire e che, per farlo, usa con eccelsa maestria il media fumettistico. 
La potenza espressiva di quest'opera risiede tanto nei testi quanto e forse più nei disegni. Alcuni concetti vengono resi perfettamente con metafore grafiche, impossibili da esprimere altrimenti con altrettanta rapidità ed efficacia. I dettagli e la perfezione dei paesaggi urbani e delle architetture si alternano ad acquerelli dai contorni più sfumati nelle sequenze surrealistiche, oniriche e "deliranti". L'uso, anche generoso, dei colori si rivela strumento efficacissimo e tutte le differenti scelte stilistiche adottate sono sempre funzionali alla resa comunicativa.

Illudersi di aver compreso appieno la portata di quest'opera e di averne colto tutti i significati e le sfumature, sarebbe presuntuoso. Diversi possono essere i livelli di interpretazione, in funzione probabilmente della sensibilità, della cultura, della preparazione, delle caratteristiche soggettive del lettore.
Il significante di cui si serve non è sempre immediatamente associabile al significato voluto, il quale può anche risultare incomprensibile o comunque ostico. Il che rende questa una lettura probabilmente non per tutti e quindi forse presuntuosa e supponente, esclusiva e un po' snob. E l'autore pare esserne consapevole quando condanna il personaggio/narratore, il prof Lomax, a una pena peggiore della morte, il nulla, per avere tradito i canoni di un racconto convenzionale.

Appare tutto più chiaro a una seconda lettura, quando si comprende l'ordine prestabilito da De Crécy, il suo progetto pianificato nei minimi dettagli e diventano comprensibili anche alcuni momenti che, al primo sguardo, sarebbero ostici da metabolizzare e collocare nel quadro generale del racconto.

Se è vero che sono le storie a trovare gli autori e non gli autori a inventarle, Il Celestiale Bibendum è una pietra miliare della letteratura europea a fumetti che ha consacrato e consegnato al mondo un grande artista, scrittore, filosofo, dall'immenso potenziale creativo.

Titolo: Il Celestiale Bibendum (Le Bibendum céleste)
Pubblicazione originale: Les Humanoïdes associés (1994-2002)
Edizione italiana: Eris
Pubblicazione in Italia: 2015
Testi e disegni: Nicolas De Crécy

Voto: 7,5

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